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L´Ubriacone, il Vagabondo e il Poeta

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Messaggio Da Admin Dom Giu 08, 2008 10:47 pm

di Laura Milani
Casco Bianco in Brasile
con l´Associazione Papa Giovanni XXIII


«Pronto».
«Dimmi che non è vero… ti prego dimmi che mi sono sbagliato, che…»
«Paolo, sei tu? Calmati, per favore, che così mi stai spaventando! »
«Ma, dico, lo leggi il giornale? E, soprattutto, conti fino al dieci prima di fare certe affermazioni…»
«Ah, dillo subito… ti stai riferendo all’intervista che mi ha fatto il Giornale di Vicenza? Non ti è piaciuta? Beh, non è che ho la pretesa che tutto il mondo sia d’accordo…»
«No, forse non hai capito o forse credi di vivere ancora in Brasile! Un conto è esprimere delle opinioni, un conto è sparare cazzate solo per il gusto di provocare!!» «Ma ti rendi conto? Stamattina vado al lavoro e Gigi, il mio collega, sai, quello brizzolato… sì il Richard Gere di Vicenza… proprio lui, insomma, mi saluta, come al solito, mentre si fuma la prima sigaretta della giornata, quotidiano sul tavolo. Me lo lancia contro. “Pagina 14”, mi dice, abbozzando un sorriso sarcastico…»

Lettere al direttore
Caro direttore, ho sempre stimato il vostro giornale per la serietà con cui svolgete il vostro lavoro, tuttavia mi stupisco che abbiate permesso la pubblicazione dell’intervista a quella ragazza che è stata in Brasile come casco bianco. Trovo alcune dichiarazioni pericolose e superficiali. In particolare, l’ultima parte mi sembra un inno al terrorismo… […] non condivido assolutamente, caro direttore, affermazioni del tipo: «…sarei una trafficante senza scrupoli, una drogata di crack… e una terrorista…».[…] francamente non mi hanno mai ispirato fiducia quei ragazzi che scelgono di fare il servizio civile, specie all’estero… gente che non ha voglia di lavorare, ecco cosa sono, e lo Stato li mantiene! Caro direttore, mi chiedevo se è possibile contattare la ragazza che ha rilasciato l’intervista ieri. Mi interesserebbe, infatti, avere qualche informazione in più sul servizio civile all’estero… […] lei non trova, direttore, che l’intervista pubblicata ieri sia stata strumentalizzata da una persona che vuole soltanto mettersi in mostra? E questi toni patetici e retorici, poi… mi sembra un evidente espediente per essere al centro dell’attenzione mediatica e mi stupisco che proprio lei… […] pochi anni fa sono stato anch’io in Brasile, da un missionario a S. Paolo. Tuttavia, quando vedevo gente che sprecava i soldi che noi generosamente mandiamo loro per comprarsi uno stereo invece che il riso, non potevo non provare rabbia… e poi mi dicono che non dovrei sentirmi superiore? Nella mia vita ho sempre sudato…

«Pronto?! Ci sei ancora? Ti basta o devo continuare? Ci sarebbero altre tre lettere minatorie… ma perché devi sempre farmi fare queste figure!»
«Cosa vuoi che ti dica? Andrò all’anagrafe a farmi cambiare nome, così nessuno saprà che sono tua sorella… non vorrei mai che la tua carriera venisse irrimediabilmente danneggiata a causa mia. Solo una curiosità. Ma tu, alla fine, l’hai letta la mia intervista?»
«Beh, a dire il vero no. Ma mi bastano i commenti…»
«Fammi capire. Tu alzi un polverone, mi accusi di avere fatto chissà quali dichiarazioni, e poi mi dici che non l’hai neppure letta? Almeno concedimi il beneficio del dubbio! Prendi il Giornale di Vicenza di ieri e leggila, prima di giudicare».
«Non credo proprio che cambierò parere… comunque, la leggerò. Il mio collega Gigi, quello brizzolato, proprio
lui, il Richard Gere di Vicenza… insomma, di sicuro avrà tenuto il giornale di ieri…»

Giornale di Vicenza
Intervista a un casco bianco appena tornato dal… bla bla bla… in cosa consiste il progetto da lei svolto in Brasile? …bla bla bla… vivevo in una casa famiglia con dei bambini abbandonati dalla madre e con una ragazza sordomuta… bla bla bla... e con i ragazzi della comunità terapeutica? Beh, con loro facevamo degli incontri sulla nonviolenza tramite dinamiche… bla bla bla... quali motivazioni l’hanno spinta a… bla bla bla… e all’inizio la lingua è stato uno scoglio, anche se poi tutto è venuto da sé e… bla bla bla… beh, una volta mi sono scontrata con un ragazzo che non voleva accettare che io, italiana e per di più donna, mi permettessi di rimproverarlo… bla bla bla …e la fatica di confrontarsi con una cultura differente dalla sua… certo, però ci sono anche gli aspetti positivi, come l’accoglienza che mi è stata offerta… bla bla bla…
Un’ultima domanda. Cosa le ha lasciato questa esperienza? Quali cambiamenti ha portato, sempre ammesso che ve ne siano stati? Oppure ora che il Brasile è lontano, tutto è tornato alla normalità?
Cosa mi ha lasciato, dice? Posso affermare con certezza che la mia vita non è più la stessa da quando sono tornata dal Brasile. Vediamo, non saprei come spiegarlo… Sa, prima di partire pensavo di avere qualcosa di buono dentro, un sentimento raro che mi spingeva ad attraversare l’oceano per condividere un pezzo della mia vita con persone che non conoscevo e che, forse, io, proprio io, avrei potuto aiutare… pensavo che, a differenza di tante persone che cedono alla violenza e mettono il proprio ego al centro della loro esistenza, io avevo invece ricevuto in dono la speranza di credere nella pace, nella giustizia… tutti quei bei valori di cui ci riempiamo così facilmente la bocca. Mi sentivo una cittadina esemplare, insomma, approdata in una terra tanto affascinante quanto piena di contraddizioni, tanto ricca e al contempo così povera, tanto orgogliosa e al contempo così pronta a vendersi, tanto disposta ad accoglierti tra le sue poderose braccia, quanto veloce nel darti una pugnalata nel fianco. Il Brasile… Il Brasile era un uomo fiero dalla giovane età, che mi salutò benevolo, mi prese per mano e accompagnò i miei primi passi in quella terra rossa e fangosa, in cui non riuscivo a camminare con i miei sandali dalla suola spessa, ma solo con le più agili hawaianas. Il Brasile mi guardava stupito e curioso, mi offriva tutto ciò che aveva da offrirmi… non so se lo faceva per generosità o per dimostrarmi quanto valeva… era molto orgoglioso, me ne ravvidi subito. Era amico di tutti, ma non si fidava di nessuno. Cercava la mia compagnia ed era onorato dalla mia presenza, ma allo stesso tempo si teneva a debita distanza e sembrava chiedersi diffidente: «Cos’è venuta a fare questa italiana? Cosa vuole da me?». Il Brasile voleva mostrarmi i suoi lati migliori e con vergogna si chiudeva in se stesso quando non ci riusciva. Sapeva essere spensierato, cantare e danzare per ore e ore… e sorridente ti coinvolgeva nella festa, sapeva stregarti e conquistarti con quel suo fare giocoso; ma a volte si intristiva e i suoi occhi lasciavano intravedere una sofferenza che non riuscivo a prendere in mano, né tanto meno alleviare; si lasciava un po’ andare, come se il suo destino fosse immutabile e statico, come se il suo domani fosse stato già scritto da altre generazioni e il tempo si ripetesse ciclico... Mi diceva che la mia presenza era importante, ma non tollerava le mie critiche o i miei consigli, considerandomi alla stregua di un ospite che non dovrebbe mettere il naso nelle faccende del padrone di casa. Era un uomo di cui, ti dici, non potresti mai innamorarti, eppure quando ne sei lontana ti prende una sconosciuta saudade.
Il Brasile. Un ubriacone, un vagabondo, un poeta, un danzatore, un giullare, un gigolo, un mistico, un cantante, un drogato, un contadino, un operaio, un trafficante; un cuore sensibile e fragile e un assassino spietato, un bugiardo e un saggio, un coraggioso e un vigliacco, un terribile individualista e un altruista, un malizioso e un ingenuo. Mio Dio, quanti volti ha questo Brasile e quanti veli ha tolto a numerosi volti, a tutti i miei volti… È l’unico uomo che mi abbia chiamato arrogante, che mi abbia gridato che nessuno mi dava il diritto di sentirmi superiore solo perché io non mi ero mai drogata, non avevo mai spacciato, non avevo rubato né ucciso nessuno. È l’unico che mi abbia detto che io non ho nulla da insegnare, nulla da imporre… che i miei pensieri non sono i Pensieri per eccellenza e che la mia verità non è la Verità. Uno spietato maestro, il Brasile…



Un attimo. Da autrice coscienziosa, quale io sono, mi sento in dovere di fermare la narrazione. Non è affatto credibile che in un’intervista a un piccolo giornale di provincia, venga concesso tanto spazio a delle considerazioni di un’anonima giovane in servizio civile in…
E allora? Nella realtà non mi verrà mai concessa questa opportunità, è vero… nessuno mai mi darà la possibilità di rilasciare queste dichiarazioni in un’intervista. Tuttavia, mia cara autrice, questa che tu riporti non è un’intervista vera… confessalo! È solo un espediente letterario di cui ti servi perché i lettori siano tuoi complici. Beh, che leggano quello che vogliono, loro. Io adesso racconto quello che mi pare, intervista o no, col tuo consenso oppure no.
Non sono molto informata, ma non so se l’accaduto abbia dei precedenti. Un’autrice scalzata da un suo personaggio? Pazzesco. Fa’ un po’ quello che vuoi, ma se i lettori si lamentano non dire che non ti avevo avvertito.
Non ti preoccupare, mi assumo ogni responsabilità! Ma,qual era la domanda dell’intervistatore? E chi se ne frega! A questo punto non ho più bisogno di un presunto intervistatore. Dunque, dicevo, cos’ho scoperto in Brasile?

Che, probabilmente, se fossi nata in una favelas, a quest’ora sarei sulla strada a soddisfare i piaceri di qualche turista per portare a casa una manciata di riso e di fagioli… che forse sarei una drogata vestita di stracci, che ha fatto della strada il suo giaciglio e del cielo il suo tetto… sarei una trafficante senza scrupoli, che vende crack a ragazzini di 12 anni… avrei già collezionato così tanti omicidi, che ormai non sentirei più il peso della coscienza… sarei una moglie che non esce mai di casa, temendo che il marito torni da lavoro ubriaco e la picchi senza motivo… sarei una madre di 7 figli, senza un uomo che mi aiuti a portare a casa il cibo e a crescerli… e, magari, nello scoprirmi incapace di nutrirli e di educarli li affiderei, seppur con dolore, a una famiglia di italiani che accoglie bambini di strada… loro parlerebbero di abbandono, io mi condannerei alla rassegnazione di un dolore indescrivibile… forse non mi fiderei di nessuno, se non di me stessa e sarebbe difficile fare quello che è giusto, perché, penserei, fare le scelte giuste è un lusso che non tutti si possono permettere.
Cos’ho scoperto in Brasile? Che, probabilmente, se fossi nata a Betlemme sarei una terrorista che crede che non ci sia un’altra via per riavere la terra che considero mia, ma se fossi israeliana odierei i palestinesi e avrei paura di andare all’università senza un fucile o di salire su un autobus… se fossi nata in Congo, in Uganda, in Kosovo, in Libano… chi sarei ora? Francamente, non so se riuscirei a operare una scelta di pace… Tuttavia, non sono nata in Brasile, né in Palestina né in altre zone di conflitto armato o strutturale… sono nata e cresciuta in Italia e la storia mi ha portato a non vivere l’abbandono, la miseria, la violenza. Io posso scegliere. Non importa se sono arrogante, egoista, impulsiva e aggressiva… perché io ho comunque la possibilità di scegliere la pace, di scegliere di viverla e di crederci, nonostante tutto… io possiedo il lusso di optare per scelte di giustizia!

«Risponde la segreteria telefonica di Sara. In questo momento non sono in casa. Lasciate un messaggio dopo il segnale acustico…»
«Pronto? Ciao, sono io, Paolo. Volevo solo dirti che… insomma… ho letto l’intervista e… sono proprio un cretino. Avevi ragione tu, come sempre. Fatti viva prima di ripartire. Quando hai il volo? Il 22 settembre? Un bacio.»



tratto da VO.CI
ed. EGA

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